Di Giulia Iani
Pubblicità anni ’50.
Il ruolo della donna nelle pubblicità.
La pubblicità crea modelli, li ritrae e condiziona i nostri comportamenti. Se consideriamo l’immagine della donna, dal secondo dopoguerra ad oggi, la pubblicità ne ha dato una rappresentazione sempre diversa: nel ruolo di casalinga negli anni ’50 e ’60, amica e compagna negli anni ’70, donna in carriera negli anni ’80 e ’90. Oggi i ruoli sono molti: donna di casa, madre e moglie, figlia, amica, lavoratrice, ragazza acqua e sapone e seduttrice.
Cinquanta anni fa i messaggi diffusi da alcuni manifesti pubblicitari internazionali divulgavano valori tutt’altro che positivi: razzismo, incitamenti al fumo, ammiccamenti alla pedofilia, stereotipi e quant’altro. Ma soprattutto la donna, oltre a sponsorizzare prodotti rivolti per lo più ad un pubblico maschile (automobili, moto, alcool e sigarette), vestiva i panni della stereotipata casalinga perfetta dedita alla cura del focolare che, per rispondere alle regole del mercato, serviva incondizionatamente il proprio marito. Cioè che ne risultava era chiaramente la trasmissione di messaggi esplicitamente sessisti.
L’immaginario comune della società patriarcale degli anni ’50 attribuiva all’uomo il ruolo di onesto lavoratore in grado di portare a casa il pane quotidiano, mentre la donna era considerata la figura che si prendeva cura della prole e dell’intera casa.
Oggi, nessuna di quelle pubblicità verrebbe molto probabilmente accettata. Attualmente la pubblicità sessista è regolata dall’articolo 10 del codice di Autodisciplina pubblicitaria che stabilisce: «La pubblicità non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose dei cittadini. Deve rispettare la dignità della persona umana in tutte le sue forme ed espressioni».
Sebbene con evidenti differenze, anche oggi come allora il ruolo della madre/moglie casalinga e lavoratrice viene usato frequentemente in molti spot come quelli che sponsorizzano merende per i ragazzi o prodotti per la pulizia della casa: gli articoli reclamizzati si adeguano all’uso che ne viene fatto dalla donna lavoratrice (sostituita al ruolo della donna-massaia) sempre più impegnata, indipendente, padrona della propria vita e non più messa in secondo piano.
Quante volte tuttavia ci siamo chieste se il volto femminile che la pubblicità ha usato (e talvolta usa tuttora) corrisponda a quello reale? La donna comune si rispecchia in questa rappresentazione? Da ricerche condotte a livello mondiale risulta che la maggior parte della donne non è soddisfatta della propria rappresentazione mediatica.
Ad essere contraria allo stereotipo delle casalinghe nelle pubblicità è il Presidente della Camera Laura Boldrini che al Convegno “Donne e media” presentato al Senato ha affermato: ”Basta spot con la mamma che serve la famiglia a tavola. In altri Paesi europei ben difficilmente arriverebbero sullo schermo”.
Ed effettivamente di mamme che servono la famiglia a tavola se ne è servito anche l’aspirante sindaco di Barletta, Giovanni Alfarano, che ha scelto di promuovere la sua candidatura con uno spot elettorale che rimanda all’Italia di cinquanta anni fa: una donna che racconta la sua giornata da casalinga specificando che non chiede nulla per sé ma solo sicurezza per il marito e i suoi figli.
Gli spot molto spesso non rappresentano la realtà ma il sogno. Come afferma il professore di psicologia della personalità all’Università di Genova, Giovanni Siri: “Si è provato a fare pubblicità con uomini che cucinano, ma non hanno funzionato”. Sono le donne le vere acquirenti dei prodotti e sono quelle stesse donne a comprare quel prodotto proprio perché vogliono “sognare” così.
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