Raffinato senza esser lezioso, tagliente ed ironico, elegantemente spregiudicato e snobisticamente irriverente. Il tutto, senza mai scivolar nella violenza verbale e nell’inutile provocazione, tanto nei modi e nel parlare quanto nel vestiario e nei fondamentali accessori d’esso. È questo l’autentico Dandy – che le sfilate di moda maschile milanese continuano a evocare con tenacia.
Un uomo che discende direttamente da quell’inversione di gusto e stile di vita che contraddistinse l’alba dell’ottocento e la successiva epoca vittoriana in Gran Bretagna.
Dandy come stile di vita e di pensiero
In una società che ancora guardava con nostalgia all’eleganza e allo sfarzo tacchineschi dell’aristocrazia settecentesca spazzata via dalla Rivoluzione francese, il giovane – e plebeo – George Bryan Brummell inaugurò un nuovo stile.
Si trattava di uno stile – di vita e di pensiero – destinato a sovvertire con incruenta perentorietà il nuovo mondo industriale e borghese. Un mondo, tuttavia, ancor dominato dal potere economico delle classi alte.
Una sola arma: essere ostentatamente sé stesso, e non il simbolo d’una famiglia d’antico lignaggio, d’una classe politica o di una qualsiasi consorteria.
Brummell impose esclusivamente ciò che di più originale ed inimitabile poteva offrire: la sua stessa personalità. Rifiutò, infatti, di vantar meriti e privilegi e concentrò l’attenzione dei suoi followers ante litteram esclusivamente sul suo modus vivendi.
La lezione di Brummell
Pantaloni a tubo attillati e rigorosa igiene personale, sapienza d’arte e passione per le novità pittoriche più trasgressive. Non solo! Innovativo gusto nei colori e negli accostamenti mai prima osati, battute folgoranti e nessuna sudditanza al potere o ai poteri. Inoltre, un’impertinente grazia nel demolire o ridicolizzare – senza acrimonia – l’inutile boria dei troppi parvenus, e – su tutto – una disposizione fascinosamente olimpica d’elegante distacco dalla prosaicità dilagante.
Nella quotidiana esistenza, come nelle più ardite scelte estetiche, nel vestire come nel comporre in prosa e in versi, nel parlar d’arte come nell’accettare le estreme conseguenze della sua temeraria ricerca individuale, il suo perfetto erede sarà il Principe degli Esteti: Oscar Wilde.
Oscar Wilde, il Dandy letterario
Nessun attore mai recitava la sera sul palcoscenico, come Oscar Wilde parlava ogni giorno nella vita. Lo rammento ancora quando commentava quasi sottovoce, fra sé, le tele di Turner nelle sale della Royal Academy. Un cappello a larga tesa. Capelli irriverentemente lunghi che gli scendevano sul collo di pelliccia dell’eccentrico soprabito. E, ancora, un giglio candido fra le mani e lo sguardo incantato dall’eterna Bellezza. Questo era Wilde.
Dopo appena una manciata di minuti, ragazze e gentildonne, giovani esteti e persino bambini lo seguivano rapiti. Abbandonavano precettori e accompagnatrici, letteralmente ipnotizzati dalle sue maliose illustrazioni.
Il tono della sua voce, le ardite teorie, le spiegazioni mai prima udite obbligavano chi lo seguiva a vedere – per la prima volta, probabilmente – quadri e particolari che mai prima avrebbero scoperto.
Lo stile del Dandy
Con queste ammirate parole, un artista amico di Wilde descrive i suoi ingressi a sorpresa nelle esposizioni d’arte più in voga di Londra. Qui offriva con liberalità le sue interpretazioni delle tele più innovative a un pubblico sempre diverso ed entusiasta. Dapprima estatico e irresistibile, solo poi seguito da una turba silenziosa e avida di poesia.
Il portamento e le vesti, gli accessori e lo sguardo irresistibilmente ammaliante. Il tono svagato e profondo insieme a una voce che non aveva eguali. Tutte queste peculiarità si fondevano con profonda sapienza per forzare e scardinare i significati reconditi dell’opera d’arte. Così, Wilde celebrava, con integrale pienezza, il potere incantatorio della Bellezza e dell’Eccentricità più autentiche.