Tradizionalmente reputato genere artistico peculiare della cultura figurativa classica, censurato o condannato in età altomedioevale e prepotentemente riaffiorato all’alba del Rinascimento per percorrere in tutte le sue declinazioni – finalmente liberato d’ogni preconcetto cristiano – la nostra inquieta modernità, il Nudo condensa in sé, a ben vedere, valori e idealità etiche ed estetiche che travalicano il più immediato stimolo erotico.
Il significato della nudità
Se per il mondo ellenistico-romano la nudità era la condizione d’eccellenza delle figure e dei protagonisti divini, emblema riconoscibile dei Signori dell’Olimpo che ostentavano – nel corpo non mortificato da prosaiche vesti – la loro sovrumana perfezione e immortale bellezza, senza una connotazione esplicitamente o esclusivamente sessuale, nel nascente universo cristiano quelle stesse imponenti forme maschili e femminili apparivano come provocatorie allusioni alla lascivia d’una decadente società pagana che occorreva rimuovere e definitivamente cancellare.
Eppure i corpi – perlomeno maschili – di illustri Martiri come San Sebastiano – sublime quello di Antonello da Messina e il successivo di Andrea Mantegna – ma anche femminili come le rappresentazioni, parzialmente velate ma inevitabilmente sensuali, dell’ex peccatrice redenta Maddalena in maestri come Carlo Crivelli e Tiziano, Tintoretto e Caravaggio, segnano un’attrazione manifesta verso una perfezione fisica che oscilla fra lode al potere creativo Divino e nuova celebrazione dell’Umano.

Gli artisti dal Romanico al Gotico, fino al più maturo e mondano Rinascimento, concorrono a riscoprire e poi esplicitamente celebrare una fisicità che lungi dall’esser mero incitamento ad una spregiudicata sessualità diviene – sempre più consapevolmente – un autentico cantico al potere ed alla suggestione, questa sì davvero profana, della Bellezza.
Inedita interazione
Dalle Veneri di Tiziano a quella – assolutamente sorprendente per modernità e allusività sensuale – di Velàzquez, dove l’osservatore che scruta golosamente, con evidente compiacimento voyeuristico, il magnifico corpo della dea si accorge troppo tardi che la stessa protagonista lo sta contemporaneamente osservando, riflessa nello specchio devotamente sostenuto da un servizievole Cupido, fino alla dirompente e quasi sfrontata consapevolezza seduttiva con la quale la magnifica Maja Desnuda di Francisco Goya fissa gli spettatori, il tema del Nudo si evolve e complica, chiamando direttamente in causa gli stessi fruitori in un’inedita interazione.

Un autentico ribaltamento di ruolo che culminerà in quell’esemplare capolavoro, osceno e purissimo a un tempo, della censuratissima Origine del Mondo di Gustave Courbet, del 1866 – realizzata per desiderio del raffinato Khalil-Bey, diplomatico ottomano presso Napoleone III ed amante dell’arte erotica – dove la rappresentazione in primo piano d’un sesso femminile fulvo e ricciuto, rivelato da un candido lenzuolo che scopre le cosce ambrate della modella sino al morbido ventre ed al seno destro in una spettacolare inquadratura – e che ossessionerà letteralmente lo stesso psicanalista Jacques Lacan, ultimo proprietario dell’iconico dipinto – diventa un perentorio richiamo ai limiti ed alle ipocrisie della nostra morale e del nostro modo d’interpretare un’innocente Bellezza che si rivela – senza diaframmi – con estatica semplicità.