Ormai estenuata in una sempre più scaltrita – e vuota – riproduzione mimetica del reale, tanto perfetta dal punto di vista della tecnica quanto drammaticamente priva d’innovativi ideali nel campo dei valori e della spiritualità, l’Arte d’inizio Novecento ha iniziato a conoscere, con le ultime creazioni quasi visionarie di Claude Monet e di Cezanne e con la rivoluzione cubista di Picasso, una nuova stagione prossima a travolgere le antiquate tecniche e tradizioni figurative, ma sarà – per unanime giudizio di contemporanei e posteri – il Primo Acquerello Astratto dell’artista russo Vassilij Kandinskij, del 1911, custodito al Centre Pompidou di Parigi, a scardinare definitivamente convenzioni e convinzioni della vecchia pittura europea.
Sino ad allora, nonostante le arditezze dello stesso Cubismo, nessun pittore aveva mai osato davvero far perdere ogni connotato di riconoscibilità all’oggetto che ritraeva, solo Kandinskij – che ha già iniziato un tormentato e mai lineare cammino verso l’abbandono della figura – portando alle estreme conseguenze le stilizzazioni della Secessione Viennese e la ricerca di assonanze immediate fra percezioni di diversa origine sensoriale, stimolate dalla musica che collega colore e suono, darà corpo ad un sorprendente capolavoro dove l’imitazione del reale è definitivamente bandita in nome e nel segno d’una nuova armonia.
Trionfando gioiosamente sulle forme, pennellate liquide di colore si accendono sulla carta, percorrendola dinamicamente ad onta d’ogni legge fisica e d’ogni tirannide gravitazionale, perché le masse colorate di maggior grandezza si librano in alto mentre le linee e i nuclei di minor peso fluttuano verso il basso. Eppure la composizione appare perfettamente equilibrata e non frettolosamente caotica o sbrigativamente assemblata: alla riproduzione dell’esistente l’artista russo sovrappone e trionfalmente sostituisce l’estroflessione dei moti interiori.
Un vortice liberatorio e rivoluzionario che darà corpo ai sogni ed agli incubi della Modernità.