Alla quale opera non pensi mai scultore né artefice raro poter aggiungere di disegno né di grazia, né con fatica poter mai di finezza, pulitezza e di straforare il marmo tanto con arte, quanto Michele Agnolo vi fece, perché si scorge in quella tutto il valore et il potere dell’Arte…
La Pietà di Michelangelo
Icona assoluta dell’arte statuaria d’ogni Tempo, e capolavoro incontestabile di devozione e virtuosismo scultoreo, la Pietà di Michelangelo Buonarroti è divenuta da subito un modello pressoché divino da emulare ed ammirare, per quanto il biografo – ed artista egli stesso – Giorgio Vasari ammonisca i futuri scultori a non osar neppure di mettersi in competizione con una creazione quasi miracolosa come quella, che sfida con prevedibile successo la Verità e la Natura.

Creato nel 1498 da un Michelangelo poco più che ventenne per la tomba dell’anziano cardinale francese Jean Bilhères de Lagraulas, ambasciatore del Sovrano presso la corte pontificia di Alessandro VI Borgia, il gruppo marmoreo della Vergine e del Cristo, abbandonato fra le braccia della madre dopo la sua deposizione dalla Croce, era un soggetto drammatico particolarmente caro alla cultura religiosa d’Oltralpe – il cosiddetto Vesperbildo Immagine del Vespro, peraltro privo di qualsiasi legame col resoconto canonico dei quattro Vangeli – ma ben poco diffuso nella pittura toscana del Rinascimento, e quasi per nulla nella scultura contemporanea a Michelangelo, soprattutto in composizioni a grandezza naturale.
Il giovane artista ricavò le due figure con spettacolare virtuosismo da un solo blocco di marmo di Carrara, scegliendo di racchiudere l’intero corpo di Gesù nel contorno della figura di Maria, la cui veste pesantemente panneggiata scava drammatici gorghi d’ombra, così da esaltare, per contrasto, la delicata lavorazione del volto della Vergine e del corpo del Figlio, rilassato senza quasi drammaticità esasperata, nel definitivo abbandono della morte.
Le suggestioni delle sculture di Andrea Verrocchio, maestro di Michelangelo, e dei quadri devozionali di Pietro Perugino, si fondono in una composizione esemplare, di forma piramidale, assolutamente inedita a quel tempo, con effetti quasi più pittorici che scultorei, dove il dolore sconfinato di Maria non s’affida a estremismi esasperati ma trapela, con un motivo intensamente patetico che lascerà il segno nella storia dell’Arte a venire, nel chinarsi mesto del suo volto verso il corpo del Figlio e nella mano sinistra, aperta in un gesto d’infinito sconforto.
Mentre lo spettacolare braccio destro di Cristo, abbandonato ed a malapena trattenuto nel suo scivolare verso il basso dalla veste pesante della Vergine, attraverserà i secoli come particolare iconico da emulare e citare esplicitamente, passando dalla sublime Deposizione di Caravaggio del 1604 alla celeberrima e propagandistica Morte di Marat di Jacques-Louis David del 1793.
Un’opera talmente perfetta che sarà l’unica in tutta la sua produzione che Michelangelo vorrà firmare, nella fascia che attraversa il seno della Vergine, come compimento esemplare del suo tormentato cammino d’artista e di uomo di fede.