Sostenibile, eco, green, cares, conscious. Con tanta, troppa, leggerezza le aziende del fast fashion si cuciono addosso la loro etichetta di sostenitori dell’ambiente. Gli slogan piovono da tutte le direzioni. Ma cosa c’è di vero?
Nella maggior parte dei casi, si tratta solo di greenwashing, ovvero di affermazioni fuorvianti, se non totalmente false, circa il livello di sostenibilità della produzione. Greenpeace Germania ha avviato un’indagine per controllare la veridicità delle informazioni riportate nelle etichette dei capi d’abbigliamento e accessori di ventinove aziende (H&M, Zara, Benetton, Calzedonia, Intimissimi, Mango etc). Dalle indagini è emerso che non sono state effettuate verifiche da terze parti circa la valutazione del rispetto dei migliori standard ambientali e sociali; non vi è un meccanismo di tracciabilità delle filiere; è presente un’evidente falsa narrazione riguardo la circolarità; è stato riscontrato un ricorso massiccio all’uso di termini come “sostenibile” o “responsabile” associato alle materie prima, anche lì dove la performance ambientale è solo lievemente migliore rispetto alla fibre convenzionali; vi è un continuo ricorso a mix di fibre come policotone, presentato come più ecologico; ci si affida all’indice Higg per valutare la sostenibilità dei materiali, ma questo è uno strumento la cui parzialità non è nota; non vi sono dati circa i miglioramenti dei parametri di produzione.
Sostanzialmente, parliamo di brand che si vendono per ciò che non sono. Tramite il greenwashing, queste aziende, illudono il consumatore di acquistare un prodotto sostenibile, mentre la realtà è molto più grigia che green.
La Green Claims Directive è stata pensata proprio per contrastare queste dichiarazioni ambientali fuorvianti. Non sarà più possibile diffondere determinati claim circa la responsabilità ambientale senza che l’impegno effettivo del marchio non sia stato provato. Basti pensare che circa un quarto delle affermazioni ambientali fuorvianti viene dal mondo della moda. Se, adesso, quindi, dichiarare il falso non è più possibile (sopratutto in vista delle nuove normative Europee per il 2024), molte aziende stanno optando per non dichiarare proprio… nulla! Ed ecco che prende piede il nuovo “fenomeno” del greenhushing, spaventoso quanto il greenwashing o forse perfino di più. Con il termine si descrive, appunto, la totale omertà intenzionale circa le iniziative ambientali dell’azienda. In questo modo, sarà possibile evitare richiami e sanzioni. La società di consulenza ambientale South Pole ha pubblicato uno studio secondo il quale un’azienda su quattro si sarebbe posta degli obiettivi ambientali, ma non avrebbe intenzione di renderli pubblici. Il greenhushing rappresenta un gigantesco passo indietro. L’impegno ambientale delle aziende, soprattutto nel mondo della moda (che è l’industria più impattante di tutte) riguarda la collettività ed abbiamo bisogno di un’informazione chiara e non fuorviante.