Di Denise Ubbriaco
FNM People – Intervista a Gerardo Sacco
Gerardo Sacco: “Le storie si possono raccontare attraverso l’oro, l’argento, le gemme.”
Gerardo Sacco rappresenta la tenacia, la determinazione, l’umiltà, la dedizione, l’occasione che tutti vorrebbero avere. Lui l’occasione l’ha cercata, l’ha creata, l’ha conquistata, l’ha difesa e ha trasformato il suo sogno in una realtà meravigliosa. La sua vita è come un treno: ogni sosta è un tassello dell’esperienza umana e artistica. La continua ricerca, la curiosità di conoscere e la grande capacità di reinterpretare, in maniera originale, tutti gli elementi del passato sono alla base delle sue creazioni. Pezzi unici, gioielli esclusivi, glamour e di straordinaria bellezza. Tesori multiformi e multicolori, veri e propri capolavori, adatti per dive intramontabili oltre che per collezioni contemporanee. Da qui, la scelta di Franco Zeffirelli di affidargli la realizzazione dei gioielli di scena per grandi opere teatrali e cinematografiche. Un esempio di vitalità artistica e forza emotiva. Gerardo Sacco è un uomo che, con tanti sacrifici, ha portato alto il suo nome in tutto il mondo. Un artista-viaggiatore molto legato alla sua amata terra. Un legame indissolubile che l’ha portato a fondare la sua azienda nel cuore di Crotone. Questo è l’uomo che voglio farvi conoscere. Tempo fa, a Venezia, era stata organizzata una mostra in suo onore. Durante la mostra, trecento operai della Montecatini di Crotone, rischiavano il posto e scioperavano. Gerardo Sacco, chiuse la mostra e andò accanto agli operai, standogli accanto insieme a Monsignor Agostino. Di recente, è stato pubblicato il suo libro intervista “Sono Nessuno! Il mio lungo viaggio tra arte e vita” con Francesco Kostner. È stato definito un manifesto pedagogico, racconta luoghi ed esperienze che hanno segnato la sua vita e rivelato tante emozioni. Per saperne di più, leggete la mia intervista a Gerardo Sacco.
Dopo tanti successi, chi è oggi Gerardo Sacco?
“Dopo tanti successi, Gerardo Sacco è un ragazzo pieno di speranze. Non sento il peso dell’età, trent’anni fa ero più vecchio di adesso. Spero che le cose possano cambiare e chiedo scusa a voi giovani, perché noi adulti non vi lasciamo un bel mondo. Con tutte le mie forze, sono intento a cercare di fare qualcosa di buono, perché vedo che c’è molta rassegnazione. Se lo faccio io, potrebbe essere da stimolo per qualcun altro.”
Il suo percorso è iniziato in maniera molto particolare. So che lavorava da un barbiere e, poi, per caso c’è stata la conoscenza di un orafo. Dico bene?
“Si. Io vengo da una famiglia molto povera. Non ho mai conosciuto mio padre. L’ho perso a sei mesi. Nel dopoguerra, mia madre ha trovato un altro uomo e pensava fosse il giusto sostegno per suo figlio, invece in quinta elementare mi cacciò da scuola per andare a lavorare. Allora, non c’era l’obbligo della frequenza. Io ero gracilino. Non sembra, ma sono stato anche gracilino (sorridiamo). Per non stare in una zona a rischio come il centro storico, perché l’ozio è l’inizio del delinquere, mia madre mi mandò da suo fratello barbiere. Lì, c’erano altri tre miei cugini che tenevano ad imparare il mestiere. A me non piaceva questo lavoro, perché anche la domenica restavamo aperti. Poi, mi sono detto: “Che avvenire mi può dare questo lavoro se alle tre del pomeriggio di domenica non posso vedere la squadra del mio cuore?”. Ero considerato un “cioto”, diciamo a Crotone, vale a dire uno scemo. Mi deridevano tutti. Ad un certo punto, per fortuna, un nostro cliente orafo aveva bisogno di un ragazzo sveglio e intelligente. Mio zio, per mandarmi via, disse una bugia e indicò me. Da lì, iniziò la mia favola e la sto raccontando a lei adesso. Uscire da una sala di barbiere, in cui spazzavo i capelli a terra, e andare in un laboratorio di oreficeria, prendere il metallo, fonderlo, plasmarlo e dargli una connotazione, è stata tutta un’altra cosa.”
“Sono Nessuno. Il mio lungo viaggio tra arte e vita”.
“Tutti pensano che “Nessuno” sia dovuto alla famosa risposta che diede Ulisse a Polifemo. Avendo la quinta elementare, quando mi parlavano di Odissea, credevo che Odissea fosse la moglie di Ulisse. Vedendo il film, all’età di 14 anni, ho capito che non era il nome di sua moglie. Per prendermi una rivincita a distanza di tempo, con riferimento all’Odissea, sto creando una linea di gioielli. Nello scrivere il libro con Francesco Kostner, insieme, abbiamo pensato “Sono Nessuno” perché possa rappresentare un insegnamento per i giovani. Non devi esser tu a dire che sei arrivato e sei qualcuno, te lo devono dire gli altri. Nel 1982, mi trovavo a Ischia, abbiamo vinto i campionati mondiali e Paolo Rossi mi onorò della sua amicizia. Siamo usciti insieme da un locale notturno con tutti i giocatori del Napoli. Tutti i ragazzi erano come impazziti. Tutti chiedevano gli autografi ai calciatori. Poi, videro me e dissero: “Ma chi è questo? Non è nessuno.” Un ragazzo disse: “Fammi anche tu l’autografo”. Da lì, è nato “Sono Nessuno”. Speriamo di diventare qualcuno nel tempo.”
Qual è stata la sua prima creazione?
“E’ una bella storia. La racconto nel mio libro. Non sono uno scrittore, io sono un orafo. Allora, mi sono inventato un libro virtuale con le immagini in rilievo che sembrano uscire dalla pagina. Sopra reperti, beni archeologici, culturali, sacri, ho esposto alcuni dei miei gioielli, creando questo effetto. Tra questi gioielli, c’è la prima collana che ho realizzato all’età di dodici anni. La prima collana l’ho fatta con le “cuticchie”, quelle pietre piatte levigate che si ritrovano in riva al mare. Ognuno di noi le ha tirate a pelo d’acqua. Ho creato una collana che può sembrare qualcosa di etnico, allora, il mio maestro disse ad un suo amico professore: “Guarda che bella collana ha fatto Gerardo”. Io, fra me e me, pensavo: “Ho fatto solo una collana con quattro cuticchie.” Io non sapevo niente dei gioielli etnici, il mio maestro altrettanto. Lui non aveva un bagaglio culturale, ma era bravissimo e mi ha insegnato a lavorare. Penso che, col tempo, lo abbiamo dimostrato.”
Quali materiali predilige per le sue creazioni?
“Oro, argento, rame. Per me, l’acciaio non è nobile, si usa solo nelle officine con il laser. Sto realizzando una linea fantastica con San Giorgio Morgeto, un paese nella provincia di Reggio Calabria, con quei cesti di castagno intersecati con l’argento, e con i ceramisti di Seminara. Usiamo anche la ceramica che poi impreziosisco. Facciamo i vasi di Caltagirone in miniatura che diventano dei ninnoli. Nessuno ci aveva pensato finora. Poi, i mostaccioli, dolci tipici che si portano in tutte le sagre popolari. Sono ciondolini molto belli e ognuno ha la sua storia. C’è la “papa” che è la sposa, poi c’è il “contadino” che è lo sposo, il cuore non c’è bisogno di spiegarlo, c’è il “paniere” che rappresenta l’abbondanza, il “pesce” può essere ammiccante. Ci sono veri e propri racconti dietro queste creazioni.”
Una curiosità sui gioielli di Gerardo Sacco?
“Tornando indietro, il mio cruccio era di essermi fermato e non aver proseguito gli studi. Molti dei miei amici hanno frequentato le accademie e, da grandi, hanno fatto delle mostre. Quando siamo andati anche noi in mostra a Firenze, i miei gioielli hanno vinto per tre anni il primo premio. Bisogna attingere dal passato, farlo tuo e renderlo attuale. Una rivista disse: “Le creazioni più nuove sono i gioielli vecchi di Gerardo Sacco”. Questa storia di Firenze non l’ho mai raccontata. Poi, c’è stato il successo in Giappone degli argenti. Una collezione interamente ispirata agli utensili della cultura contadina del Mediterraneo, in completa contrapposizione con lo stile essenziale in voga in quel momento. Lì, ho avuto la faccia tosta ed ho portato il braciere, un “salaturo” ed un’anfora, diventati un moderno centro tavola. Sono impazziti per le mie creazioni. Il buon gusto non ha confini.”
Qual è il segreto di tanto successo?
“Non sentirsi mai arrivati, avere lo stesso entusiasmo di quando ero un ragazzino, continuare a pensare che non è mai un traguardo, ma una tappa. Mi sento sempre pronto a nuove sfide. Cogliendo ispirazione dalle tradizioni come la croce di Polsi, la stauroteca di Cosenza, i mostaccioli, le pinakes di Locri, ho creato veri e propri gioielli.”
Si sente imprenditore, artista o artigiano?
“Se volete avere successo fate l’opposto di quello che ho fatto io. Sono un pessimo imprenditore. Devo ringraziare mia figlia che nel periodo più brutto della mia vita, quando è venuta a mancare la mia adorata moglie, insieme alla mia meravigliosa squadra, mi hanno aiutato ad emergere dandomi la dimostrazione che l’arte non è solo l’essere creativi, ma anche il management. Io non sono un artista. Spesso si fa un abuso di questa parola. Io sono un artigiano, colui che sta al banco, pensa, progetta, realizza il manufatto. Ho dimostrato che si può raccontare in tutti i modi. Le storie si possono raccontare attraverso l’oro, l’argento, le gemme.”
Il suo legame con Raffaella Curiel?
“E’ molto importante. Lei mi ha fatto debuttare nella moda. Stiamo parlando di circa 35 anni fa. All’epoca c’era solo Rai 1: “Donna sotto le stelle”. Lei ha visto le mie creazioni, poi mi ha mostrato i suoi abiti ed ho creato dei gioielli. In altre occasioni ha sfilato con me. Io non ho sfilato con nessun altro, per premiare lei. Adesso, è molto facile scommettere su Gerardo Sacco, ma lei l’ha fatto veramente in tempi non sospetti. Grazie a lei molti mi hanno notato. Zeffirelli mi ha dato la consacrazione mondiale.”
Com’è avvenuto il suo incontro con Zeffirelli e Lucisano?
“Nel 1984, il primo agosto mi chiamarono da Sibari per fare una sfilata, presentata dal bravo giornalista Emanuele Giacoia. Fulvio Lucisano, uno dei più grandi produttori, si trovava lì perché aveva la casa ad Amendolara. Si complimentò con me e disse: “Peccato, ho visto cose così belle qui. I primi di settembre, dobbiamo girare il film “Otello” con Placido Domingo e Katia Ricciarelli. Mi sarebbe piaciuto coinvolgerti.” Da un lato, ero felice per il complimento, dall’altro ero triste perché ho pensato di non essere arrivato nel momento giusto. Mi sarebbe tanto piaciuto. Per me, era il sogno di una vita lavorare con Zeffirelli. Lì, è uscito il mio carattere forte. Ho cercato di propormi. Ho chiesto se si poteva fare qualcosa. Volevo fare un tentativo. Non volevo essere pagato. Poi, lui ha parlato con Franco Zeffirelli, regista supremo. Così mi hanno detto che potevo provare a fare qualcosa. A quei tempi, non c’era internet. Non sapevo nulla di Otello. Sono andato in un negozio di dischi a Crotone, ho acquistato un 33 giri e sulla copertina c’era Tito Schipa che faceva la parte dell’Otello. Vedendo quel costume e ascoltando la musica ho creato un campionario. Sono andato il 18 agosto a mostrare i miei gioielli, sono piaciuti e da lì è iniziata la mia avventura con il cinema. Devo ringraziare Franco Zeffirelli perché si è fidato di me. Ha mandato indietro i gioielli che aveva già noleggiato, forse perché offrivo i miei gratis, non saprei. (sorride) Da lì, è iniziato il mio percorso a livello mondiale. Dopo tre anni, abbiamo fatto il film con Liz Taylor.”
Come ha conosciuto Liz Taylor?
“Ho conosciuto Liz Taylor all’hotel Plaza di Bari. Era bellissima nella parte di una cantante lirica dell’Aida. Si era dovuta tingere la pelle per esigenze di scena, ma affermò che le sarebbe piaciuto avere quel colore nella realtà più di qualunque altra cosa. Mi abbracciò affettuosamente e comprò tutti i miei gioielli che aveva indossato sul set. Le chiesi cos’altro avrebbero potuto aggiungere ai tanti che già possedeva. La sua risposta mi lasciò di stucco: “Qualcuno sostiene che io abbia le pietre più preziose della terra, ma i manufatti più belli certamente sono questi”. Erano presenti numerosi giornalisti e quella frase fece il giro del mondo. Fu uno spot di incredibile efficacia. Fu tutto naturale, spontaneo, sincero. Un grande omaggio della Taylor che porterò sempre nel cuore.”
Le più grandi soddisfazioni della sua carriera?
“Ce ne sono state tante. Tra queste, l’aver accontentato una diva come Liz Taylor. Per accontentare una come lei ce ne vuole. Per me, è stata una manna dal cielo. Poi, fare opere come l’Amleto con Mel Gibson, Glenn Close, poi l’Aida all’opera di Roma, Don Carlos con il grande Pavarotti e Riccardo Muti. La cosa che mi commuove di più, uno dei lavori a cui sono più legato in assoluto è ospitato nel Duomo di Crotone ed è l’icona più grande del mondo con le sue misure: 2,20 metri per 1,80 .
Uno dei ricordi che porta con sé?
“Ho fatto una mostra stupenda al Vittoriano, alle spalle del Campidoglio. C’era la mostra: Dalla Calabria, racconti preziosi di Gerardo Sacco. Vedere che al ponte del primo maggio, accanto alla mia mostra c’era la mostra di Renoir e c’era la stessa fila, mi sono commosso. Questo mi ha dato la possibilità di perfezionarmi, andare avanti, andare fuori dalla provincia e fare cose di un certo livello.”
Un gioiello che serve ad impreziosire l’outfit di una donna?
“Tutti i gioielli. L’importante è indossare qualcosa che deve piacere, non solo perché va di moda. Non è il gioiello che deve rappresentare te, ma devi essere tu a rappresentare il gioiello.”
Un consiglio che vuole dare ai giovani che vogliono intraprendere il suo stesso percorso?
“Avere la mia stessa pazienza, avere il mio stesso amore, avere il tempo della ricerca. Bisogna aspettare. In ogni campo, si vuole tenere tutto e subito. E’ sbagliato!”
Ringrazio Gerardo Sacco per la sua disponibilità.
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05/08/2016
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