Nel mezzo del Cammin: Dante Alighieri dal particolare alla metafora dell’universale

Colto, d’una sapienza eclettica ed enciclopedica, perfettamente in linea con lo stile della nuova società medioevale, tutt’altro che bigotta, oscurantista o arretrata, secondo la banalizzante lettura che ancor oggi trionfa, Dante trasforma, con sorprendente genialità, la propria trascurabile ed in fondo personalissima vicenda d’esule politico – condizione assolutamente comune nelle lotte comunali o nelle contese cittadine dell’Italia del Trecento – in una superba metafora del percorso che ogni uomo è tenuto ad affrontare.
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Incorruttibile ad oltranza e sdegnosamente ribelle ad ogni autorità umana che minasse o tentasse d’ostacolare il suo cammino verso la verità, solitario e tormentato, e – forse – dilaniato da insopportabili cefalee che ne resero ancor più spigoloso il già risentito animo, molto diverso, perlomeno nei lineamenti, dalla tradizionale immagine di volto esangue e severo, dal naso aquilino e dal mento prominente con il quale è stato consegnato all’iconografia letteraria e artistica,  perlomeno secondo l’ottima ricostruzione fisiognomica di Giorgio Gruppioni, antropologo dell’Università di Bologna, che ha lavorato su un modello del cranio del poeta, restituendolo – con l’ausilio delle tecniche utilizzate in primis dalla criminologia forense – ad un aspetto più ordinario e sereno, appena caratterizzato da un naso “importante”, Dante Alighieri avrebbe iniziato proprio stamane, all’alba del 25 marzo di 700 anni fa, quello straordinario percorso ultraterreno destinato a trasformare, indelebilmente, la cultura europea.

 Colto, d’una sapienza eclettica ed enciclopedica, perfettamente in linea con lo stile della nuova società medioevale, tutt’altro che bigotta, oscurantista o arretrata, secondo la banalizzante lettura che ancor oggi trionfa, Dante trasforma, con sorprendente genialità, la propria trascurabile ed in fondo personalissima vicenda d’esule politico – condizione assolutamente comune nelle lotte comunali o nelle contese cittadine dell’Italia del Trecento – in una superba metafora del percorso che ogni uomo è tenuto ad affrontare.

Quell’iconico Cammin di Nostra Vita non indica certo – e banalmente – la sola mezza età raggiunta all’epoca delle vicende narrate dal poeta ma è il tentativo, geniale e rivoluzionario, d’evadere dall’amara, e in fondo incondivisibile  esperienza di punizione e d’esilio dell’uomo Dante per assurgere a travolgente metafora d’un cammino aspro e drammaticamente formativo nelle insidie della Vita.

Tentazioni e Demoni, strade cieche e false indicazioni, aiuti insperati e bizzarri compagni di strada, sofferenze e illuminazioni si susseguono come in un condensato esemplare degli errori e dei ravvedimenti che – senza avvedercene e senza che si condensino in autentica poesia – tutti noi siamo chiamati, con maggiore o minore nobiltà e coraggio, a vivere e sperimentare nel quotidiano.

In un succedersi senza fiato di visionari colpi di scena, degni davvero d’una fiction di successo o d’una serie Netflix ante litteram, Dante Alighieri ci obbliga, perentoriamente, ad abbandonare il nostro miserabile orizzonte per scoprire, con improvvisa folgorazione, come la nostra esistenza abbia valore e qualità autentica solo in rapporto e in ragione a quella dell’umanità tutta.