Che siano i memorabili Girasoli di Vincent Van Gogh o le spettacolari Dalie e Rose candide di Henri Fantin Latour – negligentemente raccolte in un semplice bicchiere – o sue le carnose peonie in raffinati vasi a stelo, che siano i manifestamente simbolici, ma sublimemente ritratti, fiori primaverili in caraffe di vetro soffiato di Michelangelo Merisi da Caravaggio, i Fiori hanno sempre rivestito, dall’alba della tradizione ellenistico-romana ad oggi, una molteplicità di valori ideali senza mai perdere nulla della loro smagliante fascinosità.
Con le nature morte di Caravaggio, in particolare con Il ragazzo morso da un Ramarro della National Gallery di Londra e la prima versione – quella attualmente conservata all’Ermitage di San Pietroburgo – de Il Suonatore con Liuto, una complessa meditazione sul carattere transeunte dei beni terreni, precocemente toccati dalla falce del Tempo e che nascondono – come l’improvviso morso del rettile celato alla vista dai frutti golosi che il giovane cerca d’afferrare – le insidie ed i peccati latenti d’ogni piacere carnale, si insinua con didascalica efficacia ed altrettanto visiva immediatezza nel campo, per allora innovativo, della pittura di elementi vegetali a se stanti, mentre i vasi di maiolica gialla dove esplodono i Girasoli di Van Gogh celebrano – in apparenza – il trionfo quasi divino della luce e della solarità, ma gli steli ormai piegati di due corolle semiappassite rammentano il destino di morte che insidia fatalmente ogni gioia terrena.
Diversa l’ispirazione di Fantin Latour, allievo dotatissimo di Courbet ed amico di Degas, Manet e Baudelaire, che pur frequentando l’ambiente impressionista non appartenne mai davvero all’innovativa corrente, continuando con geniale originalità – mutuata dall’approfondita conoscenza della pittura fra Cinque e Seicento – a ritrarre con piglio realistico e silenziosamente intimista tralci di rose e piatti di fragole, pesche vellutate e sontuosi mazzi di fiori primaverili, trasformandoli con consapevole virtuosismo in protagonisti assoluti e pressoché umani delle sue tele, dove, da meri arredi di contorno o eloquenti simboli di Vanitas, quelle corolle e quei tralci rigogliosi divengono autentici attori, celebrando il potere eterno d’una Bellezza che non potrà mai sfiorire, ad onta del Tempo e dell’Oblio.