Dalla catastrofe alla rinascita: alla scoperta di Pompei

Un saggio del Prof. Vittorio Maria De Bonis
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Cadeva già la cenere, più calda e più densa quanto più si accostavano le navi al lido, già cadevano pomici e pietre nere, arse e frantumate dal fuoco… La terra oscurata tremava, e vi era chi per timore della morte invocava la Morte, altri invocavano gli Dei, altri ancora, ed erano i più, affermavano che non v’erano più gli Dei e che quella notte che sembrava eterna sarebbe stata l’ultima notte del Mondo…

Il racconto dell’eruzione

Le toccanti parole con le quali Plinio il Giovane, all’epoca della catastrofica eruzione del Vesuvio appena diciassettenne – nella tarda estate o più probabilmente all’inizio d’autunno del 79 d.C. – narra con appassionata lucidità in due epistole all’amico e storico Tacito i tragici accadimenti che coinvolsero direttamente il celebre nonno Plinio il Vecchio – comandante in capo della flotta imperiale di stanza a Capo Miseno oltreché colto naturalista – che si era tempestivamente messo in mare alla volta di Pompei per portar aiuto alle popolazioni coinvolte rimanendone ucciso, echeggiano con la forza perentoria di un’autentica cronaca dall’Abisso.

Pompei-Vesuvio

Ribolliva il mare e sembrava come riassorbirsi su se stesso… il lido era avanzato e molte creature marine erano agonizzanti sull’arena asciutta. Dal lato opposto una nube nera e spaventosa era squarciata da serpeggianti e balenanti guizzi di fuoco che si scoscendevano in lunghe strisce di fiamme, e queste erano simili a fulmini, ed anche peggiori…

Per quanto ancor giovane all’età dei fatti, Plinio riporta con commossa e quasi scientifica chiarezza – certo ereditata dal prestigioso avo – a distanza di quasi trent’anni dai luttuosi eventi, le tragiche fasi che precedettero e seguirono l’eruzione: una lucidità esemplare che ha permesso agli studiosi attuali di comprendere buona parte della corretta dinamica del risveglio del Vesuvio.

L’eruzione si concluse dopo appena due giorni e mezzo, ma la sconcertante quantità di ceneri, pomici e lapilli vulcanici che ricoprì – sigillandole letteralmente – le abitazioni di Pompei, e delle limitrofe Ercolano e Stabia, sotto una coltre mortifera di oltre 10 metri di materiali eruttivi, consegnò per l’eternità ai posteri un’inimitabile e terribilmente eloquente istantanea del Passato, che mai nessuno scavo o ricostruzione archeologica su siti più volte abitati nel corso della Storia avrebbe mai potuto restituire.

Come ebbe a scrivere oltre un decennio dopo la catastrofe il poeta latino Publio Stazio:

Crederanno mai, le generazioni a venire, che proprio sotto i loro piedi vi sono città e popolazioni, e che le campagne che già furono degli avi s’inabissarono sotto terra?

Pompei-resti

Mai una fiorente e ricchissima colonia romana si svelò – all’indomani degli scavi promossi dai Borboni – con tale spettacolare e perentoria bellezza: le celeberrime abitazioni dell’aristocrazia e della ricca borghesia mercantile campana rivelarono allora tutte le loro smaglianti e modernissime decorazioni, spazzando via d’un subito la tradizionale idea, invalsa sino ad allora – e del tutto anacronistica, come poi si scoprì – di un’antichità classica smorta nei colori ed arretrata nelle tecnologie, mentre le suppellettili restituite quasi intatte, assieme ai resti umani ed ai gioielli, mostrarono quale livello d’agio e di progresso quel remoto universo avesse raggiunto.

Un’intera stagione del Mondo antico, che manuali d’erudizione e trattati di retorica avevano confinato nella penombra rassicurante ed in fondo un po’ patetica dell’arcaismo, riaffiorava ora – trionfalmente – con la forza smagliante e irresistibile della Vita autentica. E della Bellezza.

Per Sempre.