Natura viva e natura morta: simbolo e poesia fra arte e verità

Un saggio del Prof. Vittorio Maria De Bonis
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Convenzionalmente ed altrettanto frettolosamente liquidata come codificato genere pittorico o semplice esercizio di stile pur con prestigiosi antecedenti d’arte, la rappresentazione di fiori e frutta, suppellettili domestiche, trofei di caccia e pesca e arredi più o meno preziosi – tradizionalmente denominata Natura Mortarivela e dischiude, all’osservatore più attento, segreti di simbologia ed abissi di significato assolutamente insospettati.

Dagli Asarotos Oikos alle Nature Morte

Asarotos Oikos

Sin dall’età ellenistico-romana, la rappresentazione virtuosistica di elementi e protagonisti non umani aveva interessato e sedotto i migliori artisti in campo, creando piccoli grandi capolavori che le botteghe artistiche fra Grecia e Roma s’erano preoccupate di diffondere in tutto il bacino del Mediterraneo.

Dagli spettacolari mosaici pavimentali detti Asarotos Oikos ovvero Pavimenti  non Spazzati, ideati dall’artista Sosos di Pergamo attorno al II secolo a.C. ed emulati un po’ dovunque nelle dimore dei ricchi, con le suggestive immagini di topolini che mordicchiano le briciole del pasto visti dall’alto e in prospettiva, completi di ombre illusive, gusci di ostriche e carapaci di gamberi gettati negligentemente in terra durante il banchetto agli affreschi pompeiani che rappresentano, insieme, coppe di vetro con fichi e tavolette dipinte o vassoi di uova, boccali da vino in argento e mazzi di quaglie, genericamente definiti Xeniao doni d’omaggio per gli ospiti, tradizionalmente offerti dal padrone di casa ai suoi invitati, le immagini di natura morta ritornano – perentoriamente – a popolare l’immaginario collettivo dell’Arte Rinascimentale e di quella Barocca.

Basti pensare anzitutto agli spettacolari brani di fiori, erbe, vasi, rocce sfaldate ma anche iconiche presenze animali nelle più celebri creazioni di Leonardo da Vinci, come le due versioni della Vergine delle Rocce – al Louvre ed alla National  Gallery – e nella Dama con l’Ermellinocome pure nello stesso Cenacolo, per poi giungere direttamente – in aperta emulazione – alla folgorante Canestra di Fruttadi Caravaggio all’Ambrosiana di Milano.

Le valenze simboliche

Ma è soprattutto in questo spettacolare olio su tela del 1597-98 che il genere rivela le sue autentiche e più riposte – pressoché occulte all’osservatore moderno – qualità semantiche e complesse valenze simboliche.

Natura morta

Quella che appare ad un primo sguardo come una superba rappresentazione quasi iperrealista di frutta si rivela progressivamente – ad una lettura più attenta e coerente con le idealità barocche – come una metafora virtualmente inesauribile di valori morali su base cristiana. Anzitutto, la mela al centro della composizione, perforata da un invisibile baco come pure le foglie di vite e quelle di pesco disseccate e segnate da parassiti rimandano esplicitamente al tema – caro alla meditazione secentesca – della Vanitase del Tempo che tutto erode e distrugge, invitando a non concentrarsi su beni terreni esplicitamente allusi dalla dolcezza dei frutti e soggetti fatalmente alla senescenza ma a protendersi verso superiori valori immortali, poi quell’antologia di mele, pere, fichi, pesche, uva bianca ed uva nera corrisponde esattamente alla frutta menzionata nel Cantico dei Cantici: un componimento profano attribuito a Salomone e interpretato in senso cristiano come un’invocazione d’amore appassionato della Sposa – vista come personificazione della Chiesa o della Vergine – verso lo Sposo per antonomasia, ovvero Cristo.

A complicare ulteriormente il tutto, quei frutti e quella composizione equivalgono alla canestra ricolma di primizie che Carlo Borromeo e il cugino Federico erano soliti disporre – ad evocare l’usanza dei primi secoli della Cristianità – sulla mensa dell’altare come immagine simbolica sia dei doni terreni che di quelli Celesti.

Solo più tardi, nella pittura Macchiaiola e Impressionista la natura morta sembrerà smarrire la sua tradizionale complessità e stratificazione di valori ideali, ma solo apparentemente: i superbi e dolenti Girasoli di Vincent van Gogh mostrano sempre una o più corolle recline e prossime all’avvizzimento, come trasparente indizio della fatalità del destino umano condannato al Trascorrere ed anche i sorprendenti fiori ritratti da Henri Fantin-Latour, memorabili capolavori non inferiori alle creazioni di Monet o Degas, pervasi in apparenza di sommesso lirismo e serena poesia – autentici ritratti di Dalie, Rose botaniche e Zinnie che conquistano la tela con padronanza di veri protagonisti – evocano malinconicamente l’eterna meditazione sul potere del Tempo e sull’amaro sfiorire d’ogni Bellezza terrena.