Eternamente ribelle ai simboli ed alle censure della civiltà occidentale, costantemente in fuga dalle pastoie e dalle convenzioni europee in nome e nel segno d’un impossibile paradiso perduto, l’ex agente di cambio Paul Gauguin, dopo l’inaspettata crisi emotiva e finanziaria causata dal crollo dell’Union Général per la quale è impiegato, inizia un cammino d’arte che lo porterà a scelte sempre più estreme e definitive, tanto nel campo della pittura quanto in quella dell’esistenza.
Approdato per la seconda volta a Tahiti, nel 1895, già conosciuta durante i suoi primi viaggi giovanili quando compie come marinaio il giro del mondo, Gauguin rielabora il mondo esotico che si trova a vivere e ad abitare, senza ritrarlo fedelmente – come tradizionalmente si ritiene – ma filtrandolo attraverso la conoscenza dell’arte primitiva egiziana, giavanese, impressionista e rinascimentale che conosce e che utilizza per comporre un’immagine tutta ideale del mondo tahitiano.
Il mito del Buon Selvaggio e il mitizzato mondo primigenio da lui invocato si scontrano con la banalità dell’ottusa colonizzazione francese, che censura e mortifica le qualità primigenie e la religiosità antichissima dei nativi, e il pittore reagisce rielaborando e riportando alla vita quell’originaria cultura autoctona in maniera genialmente ibrida, fondendola con le suggestioni di tutta l’arte di sapor primitivo o genericamente astratto che conosce.
Fondendo sensualità femminile e un canone estetico ispirato alla statuaria orientale ed a quella mediterranea arcaica, Gauguin in Donne Tahitiane con fiori di Mango del 1899, custodito al Metropolitan di New York offre allo spettatore l’immagine pura e spontaneamente erotica di due fanciulle locali seminude che offrono – con volti mutuati dalla scultura africana e giavanese – le loro forme delicate senza malizia e senza affettazione. I colori puri e privi di modulazioni tonali, le tinte piatte e i volumi ridotti all’essenziale, come pure la semplificazione dei lineamenti conferiscono alle ragazze un’eterna, malinconica bellezza.
Perfetto antidoto ai mali ed alle adulterazioni dell’incombente civiltà occidentale.