Noto ed apprezzato in vita quanto completamente dimenticato dopo la precoce morte a poco più di quarant’anni, forse per uno stato d’alterazione depressiva e repentino deperimento dovuto agli incalzanti problemi economici, secondo le accorate parole della vedova, Johannes Vermeer sembra – dai pochissimi dati biografici in nostro possesso – essersi dedicato con appassionata dedizione alla pittura, con sapiente lentezza e raffinato metodo, senza apparentemente allontanarsi mai dal proprio mondo e dai propri interessi che dovevano comprendere con grande probabilità anche la scienza astronomica e geografica e la tecnologia contemporanee.

Saranno l’appassionata menzione di Vincent Van Gogh e l’ammirazione incondizionata di Renoir, assieme alle parole estatiche di Proust davanti alla Veduta di Delft, a riportare lentamente il maestro olandese alla prepotente ribalta della gloria artistica, restituendo a Vermeer quel riconoscimento di poetica originalità e insuperabile tecnica che spettava a lui di diritto.
La spettacolare tela ormai nota con il titolo abusivo di Ragazza con l’orecchino di Perla, dopo il lusinghiero successo del film del 2003 tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice statunitense Tracy Chevalier – mentre la corretta denominazione da critica d’arte è Ragazza con Turbante Azzurro – continua a sedurre, invariabilmente, spettatori e appassionati da ogni parte del mondo, scatenando, quasi, una sorta d’ossessione idolatrica che probabilmente non ebbe nel 1665 quando venne creata dal Maestro.
Memore della pittura caravaggesca filtrata dai grandi interpreti olandesi e fiamminghi del rivoluzionario artista milanese – come Gerrit van Honhorst che ebbe modo di scoprilo e rimanerne folgorato durante un viaggio giovanile a Roma – la modalità creativa di Vermeer esalta in modalità preminente la luce e i suoi effetti su un microcosmo d’oggetti e figure che si accendono di bagliori e grumi quasi incandescenti, punti assoluti di luce e pennellate magnificamente liquide, e gli occhi della sognante modella, nelle cui iridi castane batte perentoriamente il raggio diurno, come pure le deliziose labbra languidamente dischiuse, e naturalmente i tocchi pressoché fosforici sulla perla a goccia evocata con tre colpi di pennello, sono del tutto originali e distanti anni luce da ogni virtuosismo dei caravaggeschi contemporanei.
Lo sguardo in tralice della fanciulla e la posa quasi leonardesca di tre quarti che la ritagliano dal fondo monocromo sembrano – davvero – l’autentica epifania della Verità.