L’umile t-shirt è protagonista della mostra al Fashion and textile Museum di Londra “T-SHIRT: CULT-CULTURE-SUBVERSION”. Una collaborazione tra il museo di Bermondsey e The Civic a Barnsley che ripercorre l’evoluzione di questo basic da guardaroba.
Dalla sua nascita come capo intimo per gli operai del 1800, passando per la sua descrizione nel romanzo di F. Scott Fitzgerald “Di qua dal Paradiso” del 1920, fino alla sua consacrazione definitiva con Marlon Brando nel film “Un Tram Chiamato Desiderio” del 1951. Lo scopo della mostra è quello dimostrare l’impatto socio-politico della maglietta nei decenni seguenti come mezzo per veicolare messaggi politici e sociali. Il curatore dell’allestimento, Dennis Nothdruft, sintetizza infatti il potere di questo capo come “il metodo più semplice per esprimere chi si è e cosa si vuole”.
In Inghilterra fu il marchio Biba, di Barbara Hulanicki, a consacrare la t-shirt quale capo moda, nel 1964. Fu però l’attivismo ambientalista di Katherine Hamnett e Vivienne Westowood che sviluppò il potenziale della maglietta come mezzo di propaganda. Infatti, la mostra include anche la collezione privata di t-shirt della stilista, dalla prime collezioni ”Let it Rock” e ”Sex” fino alle piu’ recenti ”Active Resistance”, ”Propaganda” e ”Climate Revolution”.
Troviamo anche esempi recenti di t-shirt che hanno sfilato in passerella: dall’ iconica maglietta di Dior , disegnata da Maria Grazia Chiuri, “We should all be femminists” che ha segnato il suo debutto come direttore creativo del brand a quella irriverente della sfilata A/I ’17 di Moschino che completa un outfit di buste di carta.
Infine, la mostra comprende anche la serie fotografica “La Tipologia della T-Shirt” di Susan Barnett. La fotografa ha ripreso i suoi soggetti tramite le magliette che indossano, di schiena, senza mostrarne i volti. Ciò permette ai suoi soggetti di proiettare visivamente la loro identità solo attraverso gli slogan e le immagini stampate su questi capi senza alcuna interferenza.