Dior Cruise 2020: il melting pot culturale di Maria Grazia Chiuri in cinque look

Dior nella mistica Marrakech: fra storia, tradizione e moda inclusiva
0
1559

Dior Cruise 2020 – 29 Aprile 2019, Palais El Badi (Marrakech). Ci sono i designers che ammiccano ad una particolare estetica ripresa dalla cultura folk, rubacchiando qui e lì fra il costume popolare di un determinato luogo, per poi mixarlo ai trend da passerella.

Qualche anno fa, per esempio, era tutto un brulicare di stampe messicane e viaggi in America Centrale. Maria Grazia Chiuri si spinge oltre questo concetto: la sua è una moda inclusiva, che non racconta solo la storia di un luogo e di una cultura, ma che lascia siano i protagonisti a raccontarla. Ed infatti, per la sfilata Dior Cruise 2020, il noto brand francese collabora con svariati nomi del mondo artigianale africano, al fine di creare una vera e propria factory. È stato coinvolto Pathè Ouèdraogo, sarto di Nelson Mandela; l’azienda di moda africana artigianale Uniwax; la designer inglese Grace Wales Bonner, vincitrice del British Fashion Council/ Vogue designer fashion found e l’artista afroamericana Mickalene Thomas, nota per i suoi dipinti pop e colorati realizzati con strass, smalti e acrilico.

Il primo look di cui vi parliamo è un completo African wax print con giacca e pantalone crop, portato con camicia bianca abbottonata. È proprio il tessuto wax a fare da protagonista per la Dior Cruise 2020. Wax significa cera: si tratta, infatti, di un tessuto in cotone stampato, molto colorato, che viene cerato su ambo i lati. Questa pratica lo rende molto resistente e piuttosto rigido. Le celeberrime stampe batik, provenienti dall’Indonesia, arrivarono in Africa da navi Olandesi, alla fine dell’800. Se il mercato europeo aveva snobbato il tessuto wax, l’Africa lo accolse a braccia aperte. Dunque, l’azienda olandese Vlisco, adattò questo tessuto al mercato ed al gusto Africano, iniziando una produzione di stampe coloratissime e dense di significato. Lì dove la maggior parte delle donne, all’epoca, erano analfabete, l’abito diventava un modo per comunicare un messaggio tramite la sua iconografia. La stessa cosa accade oggi da Dior, dove stampe esotiche si mescolano a riferimenti alle carte dei tarocchi, molto care al superstizioso Monsieur Dior.

Il fuoco, l’acqua e la terra. Suggestiva è la cornice del Palais El Badi di Marrakech, dove le modelle hanno sfilato fra l’acqua, il fuoco ed il cielo rosso del tramonto. Questo outfit ha i colori della terra e la delicatezza femminile espressa dalla leggerezza del tessuto plissé. Una lavorazione che, non solo esprime l’essenza di Dior, ma risale proprio all’Africa, precisamente alle tuniche indossate da uomini e donne nell’Antico Egitto. Delicata è anche la sensualità espressa dalla scollatura centrale a goccia. Nel mostrare poco, con raffinatezza. Il look è accessoriato con sandali flati a infradito, borsa tote in pelle rivoltata con frange e, soprattutto, dalle headband in wax e Toile De Jouy. Maria Grazia Chiuri ha affidato al designer Stephen Jones, a Daniella Osemadewa ed a Martine Henry la creazione di queste particolari fasce per capelli. Questo accessorio unisce la cultura africana ad uno dei must di casa Dior. Il tessuto Toile de Jouy, ricamato a mano, è un classico francese del XVIII secolo. Dapprima veniva usato esclusivamente per tappezzeria ed arredamento, poi, nel tempo, i reali francesi apprezzarono così tanto questo motivo da farlo incorporare negli abiti. Come il nodo del tessuto si stringe per cingere la testa, così le due culture si annodano fra di loro, creando una nuova e sinergica armonia.

Per il prossimo outfit dobbiamo fare un salto indietro nel tempo fino al 12 Febbraio del 1947, quando Christian Dior presenta la sua prima collezione, lanciando il New Look e rivoluzionando moda e stile. Fra i capi più iconici di sempre, la giacca Bar, dalla silhouette rigida e dal punto vita marcato. Si porta sopra la gonna a ruota che ne bilancia la figura. È in questo momento storico che viene segnata l’essenza dell’estetica anni ’50, ancora oggi viva in passerella. Il design è stato concepito da Grace Wales Bonner, mentre la stampa vivace e scintillante della gonna, nonché della banda laterale sulla manica in match, è opera dell’artista Mickalene Thomas. L’omaggio a Monsieur Dior termina con l’accessorio: il cappello a falda larga, qui in fishnet, come tendenza comanda.

Disse Yves Saint Laurent, primo direttore artistico di Dior: “Prima di Marrakech, tutto era nero. Questa città mi ha insegnato cosa sono i colori e ho abbracciato la sua luce, i suoi sfacciati contrasti e le sue intense invenzioni”. Con sei outfit in total white, Maria Grazia Chiuri racconta l’architettura marocchina, fatta di ricami intricati e suggestivi. Gonne leggere, maniche voluminose o a farfalla; unite al nude look/see through, tanto caro a Yves Saint Laurent che ne fu il primo promotore durante gli anni ’70.

Il nostro quinto outfit è in realtà una cernita di tre diversi look che, a parer nostro, marcano un unico concept: colonialismo e guerra. Che sia questo un messaggio a farci riflettere? L’Africa è un continente ricco, per storia e materie prime. Il continente da cui è nata la vita, la culla della cultura. Potrebbe essere la prima potenza mondiale, ma nei secoli è stato trafitto da guerre ed invasioni. È forte l’immagine di queste donne in divisa coloniale con alti stivali e cinture strette in vita, con stampe camouflage tridimensionali che calpestano il suolo marocchino sotto l’ipnotico ed incessante ritmo dei tamburi africani e dei flauti dalle melodie suggestive. Un marciare perenne, che ci racconta di secoli e secoli di iniquità e sfruttamento. Maria Grazia Chiuri, con la sua moda inclusiva, vuole spingere in avanti cultura e tradizione, ma non ci racconta solo una bella favola. È la realtà.